
Il 20 marzo 2003, 20 anni fa, iniziava l’invasione dell’Iraq da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna (più in prima battuta Australia e Polonia) attraverso l’operazione chiamata “Iraqi Freedom”, seconda Guerra del Golfo, più o meno supportata dal resto dell’Occidente. In un solo mese occuperanno l’intero Paese, cacciando il dittatore Saddam Hussein, provocando la morte durante il periodo di guerra “guerreggiata” di 100mila iracheni.
20 anni dopo l’Iraq, di fatto, non esiste più, diviso in aree d’influenza collegate a diversi attori, regionali o internazionali, impegnati a depredare le ricchezze del Paese, petrolio in primis. Gli iracheni hanno pagato un costo altissimo a quella guerra di conquista. Secondo le stime di varie fonti accademiche e ong il numero di civili uccisi varia da 100.000 a 205.000 persone, i profughi all’estero sono un milione e mezzo, gli sfollati interni circa 2 milioni. Ancora oggi un cittadino iracheno su tre, 13 milioni di persone, vive al di sotto della soglia di povertà, secondo gli standard internazionali.
A quell’invasione si oppose uno dei più massicci movimenti internazionali della storia contemporanea, quello NoWar. Il 15 febbraio 2003, contro l’invasione, in tutto il mondo oltre 100 milioni di persone scesero in piazza in 700 città; solo a Roma, sfilarono in tre milioni.
Un mese dopo fu però guerra, su motivazioni “ufficiali” che si dimostrarono poi delle menzogne della propaganda: il timore che Saddam Hussein – dittatore sanguinario, responsabile di stragi indiscriminate ma coccolato dall’Occidente fino a pochi anni prima – stesse realizzando una bomba atomica si basava su un documento falso, mentre un mese e mezzo prima dell’invasione Colin Powell, segretario di Stato Usa, mostrando una fiala al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sostenne si trattasse di “armi di distruzione di massa irachene”. Anni dopo la sua fonte, l’ingegnere chimico Al-Janabi, dirà di essersi inventato tutto. Powell parlò inoltre anche di legami tra Baghdad e al Qaeda, smentiti successivamente dallo stesso Pentagono.
Ai nostri microfoni il giornalista Alberto Negri, oggi editorialista de “Il Manifesto” (per ha cui scritto l’articolo “Iraq, le vittime delle nostre menzogne“). 20 anni fa Negri era inviato de Il Sole 24 Ore e – il 20 marzo 2003 – si trovava all’hotel Palestine di Baghdad, punto di ritrovo dei corrispondenti internazionali dall’Iraq. Ascolta o scarica
Fonte: Radiondadurto.org