836 visualizzazioni

Uno dei capisaldi del pensiero anarchico “classico” è
dato dalla teorizzazione del carattere benefico della natura e della sua alterità
rispetto alla storia. Mentre questa, a seguito delle lotte feroci condotte dagli
uomini per avere il potere, presenta un’immagine di disordine e di cattiveria, la
natura rivela invece, se giustamente interrogata, un’intrinseca armonia ed equilibro.
La società anarchica è la società che sostituisce le leggi storiche e artificiali
del potere con quelle spontanee della socievolezza naturale. La natura, ovviamente,
non è sempre benefica nella sua immediatezza e non è sempre mite in molte sue manifestazioni
esteriori; può però essere fonte di giustizia e di libertà, se si instaura correttamente
con essa un rapporto capace di cogliere l’intima razionalità che pervade la necessità
del tutto. La premessa epistemologica reclusiana si fonda sull’idea di un nesso
indissolubile che lega l’uomo all’ambiente, e dunque alla Terra. Vi è un rapporto
simbiotico tra l’uno e l’altra perché l’Uomo ha le sue leggi come la Terra, leggi
alle quali non può sottrarsi, anche se, ovviamente, ciò non implica che egli ne
sia prigioniero. Senza cadere in alcuna forma di determinismo, l’uomo deve essere
consapevole dei rapporti necessitanti che lo legano al tutto perché è solo grazie
a tale consapevolezza che egli si emancipa dai lacci naturali. La geo-storia reclusiana,
intenta soprattutto all’analisi delle strutture geografiche rinvenibili nei grandi
spazi e nel rapporto fra evoluzione sociale e resistenze della struttura, vuole
esaminare al rallentatore l’azione dell’uomo, al fine di cogliere la verità profonda
della sua azione sul globo terraqueo, in quanto solo i grandi movimenti e le grandi
strutture rivelano il senso generale della vita dei popoli e delle civiltà. Ciò
non toglie, ovviamente, che in Reclus rimanga sempre centrale anche l’idea dei salti
di qualità del processo evolutivo, salti che avvengono sia nella storia naturale,
sia nella storia umana.

A suo giudizio alle lunghe e lente sequenze dell’evoluzione
seguono i brevi e intensi periodi delle rivoluzioni. Il rapporto tra evoluzione
e rivoluzione è un rapporto necessitante, nel senso che l’una è il complemento dell’altra.
L’evoluzione prepara la rivoluzione, questa, a sua volta, spiana la strada ad una
successiva evoluzione, attraverso una catena che non ha fine. L’infinita interazione
fra spazio e tempo, l’individuazione della processualità storica e di rotture, e
dunque il riconoscimento dell’impossibilità di un’esistenza strutturalmente gerarchica
della realtà a cui il mondo dovrebbe conformarsi, spingono Reclus al rifiuto di
ogni epistemologia altrettanto gerarchica e unidimensionale. L’indagine reclusiana
si situa nel più classico ambito metodologico anarchico secondo cui non esiste una
direzionalità univoca degli elementi della realtà, ma, appunto, un insieme assai
vasto e complesso di cause interagenti fra loro in una dialettica senza fine tra
natura e storia, tra natura e cultura. 

L’analisi dell’interazione fra spazio e tempo porta Reclus alla formulazione di
una geografia globale che vuole essere un sapere volto alla delineazione di una
geograficità e di una geopoliticità. I termini ideologicamente anarchici del relativismo
e del pluralismo si traducono perciò nei cardini metodologici di un’indagine a tutto
campo. Questa sviluppa una scienza fisico-sociale che, tenendo conto dell’interazione
fra spazio e tempo, fra realtà naturale ed evoluzione umana, fra determinismo geografico
e relativismo storico, conclude che nei suoi rapporti con l’Uomo, la Geografia non
è altro che la Storia nello Spazio, così come la Storia è la Geografia nel tempo.
Sulla base di tale prospettiva, Reclus approda ad una sorta di interpretazione articolata
di tutta l’evoluzione umana e naturale. Si devono, a suo giudizio, attivare tre
fondamentali direttrici di ricerca: delineare la divisione fra le classi, individuare
la spontanea tendenza a ricomporre l’equilibrio sociale spezzato da questa divisione,
decifrare il contributo dello sforzo individuale nell’evoluzione collettiva. Abbiamo
così, in sintesi, un compendio dell’epistemologia anarchica. Posto infatti, come
abbiamo visto, il rifiuto di ogni interpretazione fondata su monocause, siano esse
economiche, politiche, geografiche, etniche o culturali, egli pone sullo stesso
piano analitico e valoriale la lotta sociale, il valore individuale, la spontaneità
storico-naturale di una ricerca oggettiva verso l’equità e l’uguaglianza. Insomma,
la storia è il risultato contemporaneo di più fattori, riassumibili nell’emancipazione
collettiva, nell’azione del singolo, nella naturale tendenza verso la giustizia.




Fonte: Achatnuarproduction.blogspot.com